
Non scorsi nessun erotismo, in quel nostro primo incontro. Tutto era congelato dall'emozione. E poi, “Erotismo”! Cosa vuol dire? Quando sei lì, in camera con la donna di cui sei innamorato, nudo, anche lei nuda, cosa c'è da erotizzare? Tutto è già abbastanza erotizzato da sé! Aiutato dalla presenza del letto, del comodino, della tappezzeria, della luce soffusa dell'abat jour, mescolata, come olio nell'acqua, a quella diffusa del giorno che penetra fra gli intervalli regolari della persiana, e che dov'essa è tirata su, in una misera striscia, riporta confusamente sul letto piatto, sulle pareti a fiori, su screpolate labbra secche, i ricami curati delle tende. Un gioco luminoso di sfere stroboscopiche che riflettono il clangore intontito del sesso, dell'amore. Sei indeciso, allora. Fai ruotare gli occhi, stordito. Guardi quella donna e nel pensare di prenderla ti chiedi se per caso non stai rovinando qualcosa di prezioso, un'amicizia, un amore vero. E' lì che abbassi lo sguardo e ti ritrovi spento. Il tuo desiderio non è più sudore, ferocia erotica, orgasmo, seme e capelli in bocca, ma carezze, baci, tenerezza, lacrime e giuramenti. E non vorresti più essere un uomo, un uomo al quale le tradizioni orali e letterarie impongono di prendere quella creatura di una specie diversa, che ti guarda da quel letto, a gambe larghe, col muschio del suo sesso che per te, in quel momento, non è più veicolo di piacere, ma bellezza della natura, panorama marino, barriera corallina, covo di micromiceti, ma un figlio caro, adorato, che una madre ha ricercato costantemente, e vorresti sentire le sue mani non sul tuo sesso, in quell’istante volgare organo dissacratore, ma sui tuoi capelli, carezzevoli, solide, che ti proteggono dal mondo e alle quali, senti, puoi abbandonarti fiducioso.
Come tutto è più basso nel sesso!
("La prima volta che vidi Marta", Marco Aru)
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